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“Pensateci bene prima di Accedere a questa conoscenza: Se deciderete di aprire questa porta non ci sarà più modo di richiuderla”

Tecnologia Aeronautica Anunnaki

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La storia è da riscrivere

Dimostrare scientificamente una storia molto differente da quella che continuano ostinatamente a insegnarci a scuola è certamente possibile.  Anzi, al punto a cui siamo giunti oggi direi che solo un cieco o una persona totalmente indifferente potrebbe non accorgersi di quello che le moderne tecnologie stanno rivelando del nostro passato.

Come disse Arthur Schopenhauer:

“La verità attraversa sempre tre fasi: nella prima viene ridicolizzata; nella seconda ci si oppone violentemente; infine, la si accetta come ovvia.”

Di esempi ce ne sono ovunque intorno a noi al punto che solo una particolare forma di “cateratta” indotta ed indottrinata dall’ortodossia scientifica conservatrice – che ci orienta su ciò che è lecito sapere e pensare – può annebbiare la nostra vista, i nostri sensi, celando ancora la verità.

Due certezze sul nostro passato

Ad ogni modo due punti chiave e rilevanti del nostro passato sono stati ormai scientificamente provati a livello interdisciplinare, checché ne dicano i soloni delle singole discipline – egittologia in primis – che si trincerano dietro il silenzio o, in casi particolari, si aggrappano con le unghie al “vetro” della loro versione ufficiale…

Il primo fatto è che senza ombra di dubbio una civiltà, che non trova spazio tra le pagine dei libri di scuola, ha preceduto quella attuale e probabilmente l’ha anche originata. Il secondo è che quella civiltà era globale e talmente evoluta da essere ancor oggi superiore alla nostra, per lo meno in alcune discipline tecnologiche.

In Prima di Noi mi sono posto l’obiettivo di raccogliere le evidenze multidisciplinari di queste due verità nascoste.

Tra le testimonianze di una tecnologia superiore quelle che non lasciano dubbi sono le prove scientifiche “scolpite nella dura roccia”: migliaia di manufatti impossibili sono giunti fino a noi e ancora oggi in gran parte sono ineguagliabili con la nostra tecnologia.

Kavod, vimana e carri celesti

Esiste poi un’evidenza tale da assurgere al ruolo di vera e propria prova che quella civiltà remota possedesse la capacità d’innalzarsi in volo usando la propria tecnologia.

Sono stati scritti libri in proposito e le testimonianze sono tali e tante che statisticamente è quasi impossibile si tratti di coincidenze o allucinazioni di massa; tra l’altro le evidenze ancora una volta ci arrivano da culture differenti, non in contatto tra di loro e sparse su tutto il pianeta.

I testi antichi  – e non solo – parlano di KavodVimana, carri celesti e simili; descrivono voli di profeti e personaggi vari, includendo dettagli tali da lasciare pochissimi margini di dubbio, al punto che sono descritte le strumentazioni, le manovre, le competenze, i dettagli tecnici e perfino le diete dei piloti.

Ma non solo! Le capacità di volo di questa remota civiltà sono ancora impresse nella pietra con cui vennero realizzate le piattaforme aeree giunte fino a noi (per approfondire: Prima di Noi, Capitolo 2: Le vestigia degli dei – Piattaforme).

I manufatti

In questo articolo voglio condividere con voi una breve analisi sulla veridicità di una serie d’immagini relative a “riproduzioni artistiche” tanto intriganti da suscitare il legittimo dubbio siano un fake.

Ebbene cominciamo con il sottolineare che non lo sono: si tratta infatti di “oggetti” reali dei quali condivido le informazioni che ho raccolto: entriamo nel campo della libera interpretazione che ognuno di noi, “esperti ortodossi” inclusi, potrà dare delle tre rappresentazioni artistiche che vi riporto.

La Stele 19

La Figura 1 è un bassorilievo noto come Stele 19 (dovrebbe trovarsi al Dipartimento delle arti olmeche nel Museo Nazionale di Antropologia INAH a Mexico City) ritrovato a La Venta, una località archeologica messicana precolombiana, di grande rilevanza perché testimonianza quasi unica della misteriosa civiltà Olmeca.

La Venta è già da sé un luogo che rivela verità dissacranti con le sue lastre raffiguranti uomini barbuti (i nativi non hanno la barba come tutti noi sappiamo) e soprattutto con le gigantesche teste di basalto, rappresentanti individui chiaramente di razza non amerinda, con occhi a mandorla o tratti africani.

Secondo gli ortodossi la Stele 19 è una delle prime raffigurazioni del Serpente Piumato in America Latina, ovvero del dio Kukulkan o Quetzalcoatl. Una “divinità” che si narra provenisse da luoghi paradisiaci e fu portatore di grande conoscenza.

Non so voi, ma a parte l’iconografia del serpente, che è quella su cui si soffermano gli studiosi ortodossi, io invece trovo particolarissimo il casco dell’uomo.

Mi sembra che questo individuo non sia un bellicoso guerriero sul sentiero di guerra, anzi sembra che se ne stia apparentemente tranquillo in una sorta di nicchia o guscio protettivo, indaffarato a fare qualcosa: quello che ho chiamato casco non credo si possa confondere con un elmetto militare… direi che era proprio un casco o quantomeno una maschera.

Un altro dettaglio strano che mi colpisce immediatamente è la sua particolarissima postura: non è seduto su un trono, non è a cavalcioni di un qualcosa, non è evidentemente nemmeno in piedi, al contrario è seduto con le gambe distese in un ambiente minuscolo, direi quasi fatto su misura, all’interno di questo guscio che lo avvolge; a me ricorda neanche troppo vagamente la posizione di un pilota di Formula 1 seduto o quasi sdraiato all’interno del proprio abitacolo.

La sensazione è che noi stiamo realmente osservando la riproduzione di un abitacolo di un qualche tipo di congegno tecnologico: questa intuizione viene ulteriormente confermata da una serie di oggetti geometrici – e quindi non naturali o biologici, posti sopra al “pilota”, che ricordano tantissimo le cabine di pilotaggio di moderni velivoli, ivi incluso quello che sembra essere un parabrezza in fronte al pilota.

Anche i piedi sono innaturalmente protesi verso l’alto, paralleli, con le gambe distese, quasi a voler raggiungere quella che in un jet dei nostri tempi sarebbe la pedaliera di controllo del timone di coda.

Il pilota inoltre, a parte indossare un casco che lo avvolge interamente, sembra vestire anche dispositivi dalle forme geometriche, sia sul petto che sulla schiena.

Chiaramente sono tutte ipotesi, ma se qualcuno dovesse rappresentare un abitacolo di un oggetto volante del remoto passato, diciamo in un film hollywoodiano, direi che la Stele 19 sarebbe un ottimo punto di partenza da imitare.

Secchiello nelle mani…

Il secchiello nelle mani del “pilota” è un oggetto misterioso che ritroviamo in tantissime altre culture e rappresentazioni, segno tangibile della presenza di una civiltà globale. Sebbene il suo significato non sia chiaro, appare evidente che debba necessariamente essere qualcosa d’importante.

Se avete fatto caso, nel momento in cui ho introdotto l’ipotesi che la Stele 19 rappresenti un pilota ho subito dato per scontato che si tratti di un velivolo e non magari di un banale carro trainato da animali: perché?

Immagine tratta da www.nibiru2012.it

Per il semplice motivo che i riferimenti che lo accomunano al “volo” sono talmente tanti che è veramente impossibile ignorarli e così dovrebbe essere anche per gli studiosi accademici. 

Per esempio, in Figura 4 ritroviamo un’altra particolarissima raffigurazione artistica rinvenuta a Veracruz in Messico, dove non solo abbiamo il secchiello, ma anche il casco e un bel paio di ali, che a questo punto riesce molto difficile non associare al “volo”.

Ragioniamo insieme: se fossimo un artista di qualche migliaio di anni fa che deve rappresentare, usando le proprie limitatissime conoscenze, un essere che vede volare in cielo – a differenza del resto dell’umanità – è plausibile pensare che lo potremmo rappresentare con un paio di ali sulla schiena per “passare il concetto”…

L’aggiunta delle ali nella sintesi artistica di chi, millenni fa, ha ritratto queste opere, sta inequivocabilmente a significare un qualche legame di questi individui con il cielo, e cioè con la capacità di volare.

Chiudo la serie di commenti su questo primo “reperto artistico” sottolineando che non si tratta di un oggetto unico attribuibile alla visionaria e futuristica fantasia di un primitivo artista, infatti al Museo Nazionale di Antropologia INAH ne troviamo un altro (Figura 5), che riprende inequivocabilmente molti dei concetti già dibattuti e ricorda intrigantemente un oggetto tecnologico ed un individuo alla sua guida.

Hapi, il padre degli dei

Ce ne sarebbe già a sufficienza per riscrivere giusto un paio di capitoli dei libri di storia, incluso quello sulla scoperta dell’America, ma fatemi aggiungere un altro paio di tasselli… il primo dei quali non poteva non provenire dall’Egitto.

Ora ditemi voi se la rappresentazione del dio egiziano Hapi di Figura 7, il padre degli dei, un essere dalla pelle blu verdastra, non ricalca fedelmente quelle messicane che abbiamo appena finito di commentare?

Cos’è quella cosa che stringe tra le mani? Una cloche?

Sta discendendo dalle nubi, raffigurate in alto, a bordo del suo velivolo?

Bene, ma chi mi segue e ha letto Prima di Noi sa benissimo che i legami tra le culture mesopotamiche, egizia e precolombiane non sono certo un mistero, anzi direi più che altro una “consolidata realtà storica”.

Perché allora insisto col parlare di una cultura globale che va quindi al di là di questo evidente legame tra Medio Oriente e America?

Il dio Maori Pourangahua

Il terzo “oggetto artistico” di cui volevo parlarvi chiarisce questo punto in maniera inequivocabile.

In Figura 8 troviamo la rappresentazione su tela del dio Maori Pourangahua, un “tipo” che guarda caso volò in Nuova Zelanda a bordo del suo “uccello magico”.

Sempre secondo la leggenda, mi scappa da ridere a chiamarla così, questo dio proviene da un luogo chiamato Hawaiki, che tradotto significa “Via Lattea” … fate voi… mi astengo dal commentare l’ennesima coincidenza transoceanica che vedi i Maori legati alla Mesopotamia, l’Egitto e le culture americane precolombiane… altro che riscrivere qualche capitolo… i libri di storia vanno gettati e rifatti da zero.

Vi lasciò (a meditare) riportando una preghiera Maori che “estende” la “civiltà globale” ben al di là dei confini di questo pianeta:

“Vengo, e una terra sconosciuta giace sotto i miei piedi.

Vengo e un nuovo paradiso appare sopra di me.

Vengo su questa terra, ed è un tranquillo luogo di riposo per me.

O spirito dei pianeti!

Lo straniero ti offre umilmente il suo cuore come nutrimento.”

E le valigette?

Se poi uno vola di fantasia e associa le “misteriose valigette”, raffigurate da ogni cultura di ogni angolo del pianeta, a certe immagini moderne come quella di Figura 9, lo fa seguendo una logica, sicuramente alternativa a quella presunta usata da accademici ortodossi, ma per lo meno supportata da evidenze e fatti.

 

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Max Caranzano

Nato a Loano nel 1968, laureato in Ingegneria Elettronica, esperto di Information Technologies, Intelligenza Artificiale e speaker in eventi di livello mondiale.

Autore di libri sulle tematiche energetiche e la salvaguardia ambientale, coltiva da oltre quarant’anni un interesse particolare per la ricerca delle vere origini dell’umanità.

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